1.Impressioni di Buenos Aires

Queste sono le mail che ho scritto ai miei amici durante il viaggio. Ce n'e' pure una, l'ultima, che non ho spedito, perche' per un grave problema il mio viaggio si e' interrotto bruscamente a Cordoba (per questo, non per follia, in 3 mesi non ho visto Iguacu').
Come al solito queste mail contengono anche cose poco interessanti per chi cerca semplicemente info di viaggio. In "Info Pratiche" ci sono informazioni sul viaggiare e nella sezione "Accomodations" gli alberghi e ristoranti dove sono stato.

7. Cachi e San Pedro de Atacama

CACHI
10.04.08

Capisco durante la strada sul vecchio autobus (il primo forse,  vero colectivo sudamericano) perche' la ragazza che ci aveva trovato da dormire a Salta ci aveva detto: "se noleggiate una macchina, e volete andare a Cachi,mi raccomando non ditelo al noleggiatore.
Ditegli che volete andare dappertutto ma non li'. O rischiate che la macchina non ve la diano proprio."
La strada, famosa, da Salta a Cachi, a parte alcuni tratti asfaltati e' una spirale di tornanti di sabbia e ghiaia, attraversata da torrenti che l'autobus passa prendendo la rincorsa.
E polvere che come in Patagonia costringe a stare a distanza dal veicolo che ti precede, sperando che prima o poi si allontani o ti lasci passare.
Ma per un passeggero il paesaggio di montagne e dirupi coperti d'erba in cui le pecore vanno in fila indiana e persino i muli sembrano non trovare casa, e' splendido.
Finita la salita (Cachi e' a poco piu' di 2000 metri), cominciano pianure di cactus, il Parco Nazionale Los Cardones, e pareti lontane di roccia colorata, che nascondono in parte la fantastica catena montuosa imbiancata da nevi perenni del Nevado.

Cachi e' un minuscolo villaggio di strade bianche di ciottoli, abitato quasi soltanto da indios, le cui ragazzine potrebbero guadagnare una fortuna vendendo i loro capelli che gli arrivano oltre
la schiena, e in cui i maschi sfoggiano scolpite facce da Inca.
Attorno fiumi, monti, colline, e insomma se ero nel dubbio, appena arrivato e' qua che decido di restare 4 giorni, caso mai sia il posto giusto che mi fa venire in mente qualcosa da scrivere.
Contratto a 45 pesos per notte una doppia all'Hotel Nevado e cosi' resto uno dei pochissimi turisti a restare in paese quando a meta' pomeriggio i viaggiatori dei tour organizzati ripartono per Salta, la piazza si svuota  e resta solo il silenzio dei bambini e la fantastica luce dell'ora che precede la sera.
Oltretutto qui sembra che tutti i cellulari funzionino tranne il mio.
Ma c'e' un locutorio, un paio di internet cafe', e persino un bancomat.
E sopratutto un fantastico silenzio e una calma sudamericana, e il bianco e la luce del nordovest.
Vendono sigarette, ci sono bellissimi bar, ho 2 sacchetti di foglie di coca e voglia di stare da me.

11.04.08

Cachi e' un posto in cui si puo' venire con un' escursione (come ho fatto in molti altri posti) e starci due ore, dare uno sguardo alla piazza e alle montagne, oppure, come faccio stavolta, lasciarsi conquistare dalle sue strade piastrellate ad  esagono che si trasformano in sentieri di sabbia, dalla sua luce del pomeriggio, dai suoi ristoranti che cucinano locro e lama, e non volersene mai andare.
Mi sono tenuto cosi' tanto tempo per il nordovest perche' speravo di incontrare posti come questo, e spero di vivere le stesse magiche giornate anche andando verso la Bolivia, a Tilcara,
Purmamarca, Humahuaca.
Trovo anche oggetti da comprare, che non avevo ancora trovato in tutta la Patagonia.
Al sud c'era  solo artigianato da turismo, pupazzi di pinguini e vestiti da gauchos.
Non ho ancora trovato nulla che meriti il posto sulla mia mensola di maledizione, ma potrei esserci vicino.
Il mio bancomat riprende a funzionare, ma guarda un po', tatuandomi a fuoco sul braccio la promessa di cambiare banca appena rimetto piede sul suolo italiano.
Nel frattempo mi sono fatto fare un trasferimento Western Union da mio fratello, che mi e' costato una fortuna.

Non capiro' mai come possiamo definirci moderni ed avere ancora, o meglio essere schiavi, delle religioni e delle banche.
Mi sfugge questa assurdita', e la lascio cadere, perche' ora non mi interessa, non so quanti soldi ho, ne' quanti me ne trovero' al ritorno, adesso sto viaggiando, sto vivendo e andando.
Anna, nel pomeriggio senza fine di La Rioja, mi ha detto che non e' vita questa del viaggiare.
Non lo so, sara' perche' sono piu' vecchio, ma non le ho risposto.
Non ho mai fatto distinzioni tra turista e viaggiatore, rispetto chi va a Sharm una settimana e la frase di Kipling - "ci sono solo due categorie di persone, quelli che stanno a casa e quelli che non ci stanno", che trovo in bocca a tanti (troppi) viaggiatori o scrittori di viaggi mi e' sempre sembrata troppo estrema, quasi una boutade.
Pero' penso: a che ci serve il mondo se non lo camminiamo?
Crescendo non dovremmo farci piu' spesso le domande da bambino, chi sono, da dove vengo, che ci faccio qui?
E' davvero possibile che siamo nati per fare la stessa cosa tutta la vita, procreare per mantenere la continuita' della specie e nient'altro?
Non dovremmo conoscere, non e' forse un nostro dovere, anche rispetto a chi non vedra' mai altro che la riva dello stesso fiume, andare, viaggiare, vedere?
Insomma, a che ci serve il serve il mondo se non lo camminiamo?
E oltretutto, mi verrebbe da dire scherzando, perche' chi lavora 10 ore al giorno per non avere poi tempo di spendere i suoi soldi e' un esempio da imitare e io invece disoccupato, in viaggio senza meta passo per essere un mostro insensato che non riesce a diventare adulto?
Mai come a 40 anni passati, quando dovrei essermi fermato, sposato, arreso, mi interessa cosi' poco del futuro che mi aspetta, del paese da cui sono lontano, della stabilita' e della sicurezza.
Non sono cresciuto sbagliato, sono cresciuto curioso, e per quanto difficile sia esserlo, stanotte in un pueblo argentino di quattro case e una chiesa non mi cambierei con nessuno al mondo.

13.04.08

E allora mi do' alla gastronomia:
cosi' provo i  tamales, foglie di mais ripiene di mais e di carne, la quinoa, una strana crocchetta, e il locro, un tradizionale piatto indio, che e' una zuppa di mais e fagioli bianchi con carne di manzo e salsiccia (e come tutte le zuppe, chissa' che altro).
Non e' forse per palati fini ma e' eccellente.
E siccome a Punta Arenas ho mangiato una bistecca di guanaco, qui non mi lascio sfuggire la cazuela di llama, animale che mi affascina (quando deliro) anche dal punto di vista semantico, visto che in italiano e' un animale che taglia e qui - llama in spagnolo significa fiamma - e' un animale che brucia.
La carne di lama e' saporita e forte, e insomma niente male.
Do' un'occhiata al Museo Archeologico e alla chiesa, di cui la cosa piu' bella mi sembra il confessionale, tutto in legno di cactus essiccato.
Martin, il padrone del bar piu' bello, o piu' turistico se vogliamo, mi ha detto che qui si puo' affittare un appartamento per circa 200 pesos al mese (40 euro, piu' o meno).
E' una fortuna che abbia gia' in tasca un biglietto per San Pedro di Atacama, in Cile, o rischiavo di restare in questo posto magico per sempre.
Perche' Cachi e' come una sirena che usa la luce al posto della voce per incantare e stregare i viaggiatori di passaggio.

L'ultima sera mi trovo a bere all' Oliver Cafe' con Martin, padrone del locale, esperto di vini e di salite in alta montagna ("a 5000 metri facciamo circa 8 passi e poi ci riposiamo a respirare
un minuto").
Mi fa vedere le foto delle salite al Nevado e all' Aconcagua, quando si fermano ad offrire davanti agli apachetas, specie di piccoli altari di pietra, cibo, acqua o sigarette per ringraziare la Pacha Mama, la Madre Terra india.
(Pacha es universo, mundo, tiempo, lugar, mientras que Mama es madre)
Al tavolo anche  Gaby e Romina ("i miei mi hanno chiamato cosi' pensando a Romina Power", e questa restera' una delle stranezze maggiori di tutto il viaggio), in vacanza da Salta a Cachi una settimana o forse piu'.
"Molti", dice Martin, "rinnegano il passato e dimenticano che queste valli gli Inca le hanno conquistate, hanno imposto il Quechua, la loro lingua, cosicche' la tradizione orale dei popoli locali e' andata perduta per sempre, e hanno reso schiavi i maschi mandandoli a lavorare nelle miniere.
Poi, certo, dopo sono arrivati gli spagnoli.
Ma l'  unica differenza e' stata che gli spagnoli avevano la polvere da sparo, e hanno cancellato gli Incas dalla storia.
Ma per gli abitanti di queste zone e' stato soltanto come passare da una conquista a un' altra conquista."


SAN PEDRO DE ATACAMA
15.04.08


Cosi' faccio scorta di Marlboro e parto per San Pedro de Atacama, in Cile, per vedere le meraviglie che la circondano, sopratutto il Salar de Atacama, e ricominciare la maratona delle escursioni.
Come mi aspettavo, gia' il viaggio in autobus alza il sipario su uno spettacolo che toglie il fiato.
Prima le valli e le quebradas di Purmamarca e Humauaca (dove intendo tornare quando lascero' San Pedro) e poi il paesaggio marziano di cui mi avevano parlato:
panorami da Guerre Stellari, vedute di Arrakis, con in mezzo deserti di sale bianco latte incastrati tra le montagne della Luna.
Cazzo, che spettacolo.

Arrivato a San Pedro, ritrovo il Cile piu' caro e nemico dei fumatori, come al solito.
San Pedro de Atacama, dalle strade di sabbia e di vento in mezzo al deserto (tecnicamente, il deserto vero e proprio e' verso Calama, ma il Salar de Atacama appare comunque spesso come un deserto), circondata da monti che il tramonto fa brillare di rosa, e' abbastanza snaturata dal turismo, per quanto a tratti conservi un' atmosfera da posto sperduto nello spazio.
Considerato che e' microscopico, 48 ostelli e 12 alberghi sono forse un po' troppi, e non ho mai visto una tale concentrazione di adesivi di carte di credito sulle vetrine dei ristoranti, quasi tutti
internazionali e in mano a stranieri, e negozi dell' artigianato.
Resta qualche posto cileno, come il ristorante che mi consiglia la padrona del Vilama, dove dormo, e dove si puo' mangiare a buon mercato, ma la magia, se c'e' mai stata a San pedro, mi sembra si sia spezzata tanto tempo fa.

Ci sono i camerieri dei ristoranti che cercano disperatamente di richiamare i clienti a mangiare i loro menu tutti uguali (e tutti mediocri), e turisti all'interno che si riuniscono attorno al fuoco centrale che sembra un marchio di fabbrica dei locali di San Pedro.
Insomma, secondo la mia opinione, il 95% di San Pedro de Atacama e' fasullo.
Un "fake" mi verrebbe da dire, come quelle foto che si trovano in rete in cui Hillary Clinton fa un pompino a Hitler.
Ovvio che ho passato anch' io una serata attorno al fuoco, con una compagnia di brasiliane, Miguel nomade spagnolo, una ragazza di Como e un fotografo d'avventura italo-australiano.
"In Venezuela", mi racconta, "i polziotti volevano ammazzarmi e rubarmi tutto quanto.Quando ho visto l'autobus che si allontanava ho pensato:ecco, sono morto.
Mi sono salvato cantando Pavarotti, e ancora adesso, quando ci penso, non ci credo."
Ma il fatto e' che se per le comunita' primitive il raccogliersi attorno al fuoco era ed e' qualcosa di mistico ed ancestrale, per i moderni viaggiatori vestiti di marca il fuoco centrale e' un obbligo da assolvere in gioventu', che crea oltretutto soltanto non luoghi.
Perche' potremmo essere a San Pedro come su una spiaggia della Grecia o sulla riva di un fiume in montagna, non si vedrebbe la differenza.
L'unico posto di San Pedro che mi sembra avere un'anima (e quasi l'unico con buona musica) e' un assurdo bar in Caracoles che vende solo birre e sigarette e dove si riuniscono gli abitanti del posto a guardare sul maxischermo le partite della Coppa Libertadores.
E' gestito da tre ragazze che sembrano somale, o etiopi, ma siccome mi fulminano con lo sguardo ogni volta che mi cade l'occhio sul culo della piu' magra non ho ancora osato chiedere: "ma come diavolo siete finite a gestire un bar a San Pedro de Atacama?"

San Pedro mi ricorda Ushuaia, cosi' insensata, e bella solo se vista da lontano.
"Prima o poi" mi dice un neolaureato di Buenos Aires che si e' fermato qui a lavorare 4 mesi, "i turisti si stancheranno di spendere una fortuna ad Ushuaia solo per vedere un cartello che dice Fine del Mondo, e si', Caracoles, la strada principale di San Pedro, e' quasi certamente la via piu' cara del Sudamerica."
Persino le lavanderie qui accettano la carta di credito, e per assurdo contrappasso uno dei due bancomat che ci sono e' famoso per trattenere la carta, come e' successo ad Anna e Paolo la settimana scorsa.

Fuori dalle poche strade di ostelli, agenzie di viaggio e ristoranti, insomma dove vivono i cileni, stanno pavimentando tutte le strade.
Mi chiedo se il minuscolo centro restera' di strade di sabbia per far credere ai turisti di essere arrivati in un posto selvaggio.
Per quanto selvaggio, ovviamente, possa essere un luogo governato dalla VISA e dall' American Express.
Eppure San Pedro e' piena di occidentali che sembrano in fuga, vestiti da suonatori di flauto, che si fermano sembra a vivere qui.
Mi sembra troppo facile, anche se non giudico:
ma basta davvero la polvere del deserto per avere la sensazione di essere scappati dal capitalismo?
Non credo.
Sopratutto a San Pedro, dove gli indios, ovviamente e forse per fortuna, vendono a caro prezzo la terra e il sogno di essere liberi a dei gringos stanchi di quello che anche se non se ne accorgono finiscono per subire e ricreare qui.
Ma e' una scelta, e come tutte le scelte merita il mio rispetto, o piu' probabilmente in questo caso, la mia indifferenza.
(pero' quanto mi saro' rotto i coglioni viaggiando di ascoltare Bob Marley o Clandestino di Manu Chao?)

Comunque sia, sono qui per quello che c'e' attorno, e come prima escursione scelgo di fare quella delle Lagunas Altiplanicas, che passa anche per il celebre Salar de Atacama.
Cosi' al mattino comincio l' escursione con altri dieci visitando l'oasi di un piccolo  paese in cui il governo sta costruendo case gratis per convincere la gente a restare e a non fuggire a lavorare nelle miniere di Calama.
Questo minuscolo paradiso di alberi da frutta, ombra e acqua, e' sempre stato un posto di ristoro per i nomadi cacciatori-raccoglitori che abitavano queste zone millenni fa, e che sembra si nutrissero delle radici della Brea, un cespuglio che cresce dappertutto e che riesce a resistere agli sbalzi di temperatura e alle condizioni climatiche estreme del deserto.
Ora pero' il fiume e' quasi un ruscello, perche' l' 80% dell'acqua viene deviato dalla miniera di rame piu' a nord, lasciando gli abitanti a protestare esponendo bandiere nere sulla porta delle case.
"Perche" ci dice la guida, "le miniere in Cile sono perlopiu' private.Dovrebbero pagare una percentuale sui guadagni ma siccome quasi tutte appartengono a gruppi bancari, e una banca chiude sempre il bilancio in pari, non pagano mai niente.
Questa miniera che devia il fiume e' statale, per questo, come operazione di marketing estetico, hanno costruito qui questi assurdi tavolini da campeggio e donato a San Pedro due ambulanze che avranno 50 anni".
I prodigi del capitalismo, mi verrebbe da dire, che saltano fuori quando meno te l'aspetti.

E poi finalmente vedo per la prima volta da vicino una parte de Salar, questa distesa che sembra non finire di cristalli di sale che sembrano terra arata o pianura bianco latte.
In mezzo lagune azzurre dove si dissetano svariati uccelli e che  sono sosta di migrazione per tre specie di fenicotteri, che si riflettono sull' acqua come in uno specchio e quando si alzano in volo sono piccole nuvole rosa contro l'orizzonte delle montagne.
Per uno strano effetto ottico, qui la Cordigliera delle Ande, che e' fondamentalmente diritta, sembra circondare il Salar, come un semicerchio di cime e vulcani che ti avvolge mentre sembra che tutto sia soltanto caldo, siccita' e sole.
Proseguiamo sulla strada asfaltata che offre panorami allucinogeni, attraversiamo il Tropico del Capricorno e la guida fa fermare l'autista alla fine di una discesa.
Alle nostre spalle, le montagne rosse che contengono un' enorme quantita' di ferro, creano un campo magnetico che sembra invertire la forza di gravita'.
Quando l' autista mette in folle e lascia il freno, il minibus comincia a salire la discesa all'indietro, attratto dalle montagne alle nostre spalle come da una calamita.
Sinceramente una delle esperienze pu' strane che mi sia mai capitato di vivere.
Funziona solo ovviamente con oggetti metallici eh, non e' la leggendaria strada di Roma in cui la forza di gravita' sembra essere invertita e che nessuno ha mai pero' saputo dirmi dove sia.
Poi saliamo in alta montagna a vedere altre due lagune (Miscanti e Minique)  che resteranno
dipinte nei miei occhi e dove pascolano vigogne, al contrario dei lama, specie protetta.
Il contrasto tra l'azzurro dell'acqua, il bianco del borace che le circonda (come gia' la Laguna Amarga nelle Torres del Paine), il giallo della vegetazione e l'architettura vesuviana del paesaggio sono davvero cibo per la mente e fortuna per i viaggiatori.
Provo di nuovo quella sensazione di faticoso respiro a cui non avevo fatto caso sull'autobus vicino alla dogana argentina, e come altri ho anche un leggero mal di testa.
E' l'altura, siamo a 4300 metri, e non sono mai stato cosi' in alto in vita mia.
Siccome nella vita non si e'mai stupidi abbastanza, festeggio quest'esperienza facendomi fotografare davanti alla Laguna Minique con una Marlboro in mano.

L'escursione finisce visitando il centro di Toconao, un villaggio di 500 abitanti famoso per la sua chiesa e il suo campanile.
Dopo le spade dei conquistadores, qui arrivarono le croci dei missionari, che dovettero  fare concessioni agli indios per cercare di convertirli al cattolicesimo.
E siccome l'edificio della chiesa per i nativi e' il femminino, e il campanile e' il masculino, come in molti altri villaggi sono separati e non uniti come di solito avviene in un unico corpo architettonico.
All'interno della chiesa, costruita nella pietra leggera tipica di queste zone e le cui travi sono ancora in parte legate da strisce di cuoio di lama, da una parte c'e' un crocifisso che sostiene un Gesu' per una volta senza una goccia di sangue, perche' il sangue versato era gia' stato abbastanza, e avrebbe ricordato agli indios i massacri e la conquista.
E di fronte, sulla parte destra della navata, un piccolo altare che sostiene una casetta che rappresenta la Pacha Mama, la Madre Terra che gli indios atacameni (atacamenos e' il nome che gli spagnoli diedero ai nativi) non smetteranno mai probabilmente di adorare.
E' una piccola chiesa catto-pagana che si rivela molto piu' interessante del previsto.

17.04.08

Laguna Ceja e Ojos del Salar

Faccio un'altra escursione, alla Laguna Ceja, perche' finisce aspettando il tramonto nel Salar de Atacama.
Siamo in sette sulla strada che presto si trasforma in una pista di sabbia in cui anche il 4x4 Hyundai deve procedere a passo d'uomo.
C'e' un albero, uno solo, un algarrobo sotto cui si fermano a riposarsi gli impavidi che attraversano il Salar in bicicletta.
Ai lati della strada le piante, della famiglia delle mimose, che sono una delle poche specie che riescono a sopravvivere in questa ostilita' naturale.
Sono talmente gialle che il riflesso del sole sembra renderle luminose, come fossero piante di profondita'.
E poi ecco la Laguna Ceja, una piccola laguna turchese, salatissima, nel mezzo del niente della pianura di sale.
Ci entro dentro lentamente, di spalle, e come nel Mar Morto, per l'altissima percentuale di sale , e' praticamente impossibile affondare.
Cosi' galleggio nell'acqua azzurra, in mezzo al Salar de Atacama, guardando il vulcano Licancabur davanti a me, ed e' una giornata che restera'.

Poi ci spostiamo verso gli Ojos del Salar, cosi' chiamati perche' queste due piccole lagune rotonde, in cui in mezzo passa la strada sterrata, sembrano due occhi che guardano il cielo nel mezzo del deserto di sale.
Nonostante il mal di gola per aver dormito con la finestra aperta e dimenticando quando ho quasi perso le gambe in Thailandia, mi tuffo dalla riva di 2 metri nell'acqua gelida di una laguna.
Perche' c'e' qualcosa di zen nel tuffarsi, che non so perche' mi fa sentire vivo.

Victor, la guida, porta con se' anche taniche d'acqua dolce perche' e' pericoloso lasciarsi asciugare addosso cosi' tanto sale, che puo' arrivare a seccare e ferire la pelle.
Cosi' dopo esserci cambiati e asciugati, andiamo ad aspettare il tramonto alla laguna di cui mai ricordero' il nome, che e' forse il piu' bel posto da cartolina che ho visto finora ad Atacama.
Qui il Salar, composto quasi esclusivamete da cristalli di sale (cloruro di sodio), e' una distesa bianca e piatta, disegnata ad esagoni per l'evaporazione rapida dell'acqua sottostante (tutto il
Salar e' una specie di enorme lago salato sotterraneo, in cui l'acqua affiora,  evapora, o esce a formare lagune).
Davanti a noi la luna quasi piena e' gia' alta nel cielo,  e sembra sorvegliare la catena di montagne che il sole alle nostre spalle, man mano che scende, illumina di rosa, di rosso, fino a che il Salar diventa un caleidoscopio di colori e la sera lascia alla notte soltanto il  cielo stellato e , in lontananza, le luci di quello che quando sara' completato nel 2012 sara' l'osservatorio astronomico piu' grande del mondo.


19.04.08

"Lo so che viaggio solo per un mese", mi dice Renata, quando ci salutiamo con l'ennesima cena mediocre di San Pedro, "ma mi manca Rio, mi manca la confusione... e mi manca l'umidita'."
E aspira ridendo il vapore che esce dalla brocca di acqua bollente del mio Nescafe'.
Perche' il clima secco, bollente di giorno e freddo di notte di San Pedro fa si' che abbiamo tutti le labbra spezzate, gli occhi arrossati e la pelle come la schiena di un dinosauro.
E anch'io sono stanco, e raffreddato.
Compro qui, nel posto piu' caro del mondo("qui non sanno tenere i turisti, San Pedro con i suoi
prezzi e' una bolla che prima o poi esplodera', mi dice la venditrice di cose indie) una statuetta della Pacha Mama che stara' bene sulla mia mensola, e poi vado a festeggiare il biglietto di autobus che ho in tasca, bevendo un chopp nel solito posto e brindando circondato da cileni che tifano Colo Colo, ovvero mi dicono, l'Olimpo del calcio.

<< 6. Santiago e Mendoza e il Nord Ovest

2.Il mare e la Regione dei Laghi
3.Bariloche e Puerto Madryn
4.Verso sud, dove va a finire il mondo
5.Poco Cile, Torres del Paine, Ghiacciai
6.Santiago e Mendoza e via verso il Nord Ovest
7.Cachi e San Pedro de Atacama