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Messico.4-Sayulita, Puerto Vallarta, Melaque

Lascio Chacala.

A Chacala spesso dopo le 20, salvo qualche cane che abbaia di tanto in tanto, l'unico rumore e' l'oceano che alla luce della luna invade la spiaggia.
Forse per la prima volta nella vita mi chiedo se non valga la pena partire per andare in un posto, invece che partire per vederne tanti.
Ma sono qui per vedere il Messico.
E voglio non so perche' andare in Guatemala.
E davanti a me potrebbero esserci molti posti altrettanto magici.
Ma in realta' lascio Chacala per un'unica ragione:
sono spaventato dal fatto che mi piaccia cosi' tanto stare in un posto cosi' piccolo.
Per la prima volta mi chiedo se sto cercando casa invece di viaggiare.
E' un pensiero che portero' con me sulle strade del Messico, come un enigma da risolvere.
Spero che la bottiglia di tequila che ormai d'abitudine porto in valigia mi sia d'aiuto.

Sayulita 20.1

A Sayulita passo una notte soltanto.
Non riesce a sorprendermi.
Mi sembra troppo cara, troppo finta e troppo new age.
In spiaggia ci sono circoli di persone attorno a maestri di chiavi che spiegano il calendario Maya e la prossima fine o il cambiamento del mondo.
Ho letto il libro di Giacobbo (cosa non si fa quando si aspetta in una stazione degli autobus.) e so tutto del 21.12.2012, dei cicli che finiranno, dei teschi di cristallo e degli alieni portatori di saggezza.
E anche la spiaggia di Sayulita non mi cattura.
E' bella, lunga e selvaggia, ma e' una spiaggia da surf, perche' le onde sono enormi.
Ho preso in considerazione l'idea di prendere lezioni ma poi guardando I surfisti in acqua ho rinunciato.
Non ho l'eta', molto semplice.
Uno dei movimenti base del surf, il primo fondamentale mi sembra, e' sollevarsi con un salto sulla tavola mentre si e' sull'onda, appoggiando entrambi I piedi per trovare la posizione d'equilibrio.
Non credo di potercela fare.
Una bottiglia di tequila alla settimana temo mi abbia fatto perdere agilita'.
Penso di essere venuto a Sayulita solo con la concreta speranza di trovare delle cartine, di cui infatti faccio scorta al primo minimarket.
Ma forse se non venissi da 15 giorni a Chacala, Sayulita mi piacerebbe moltissimo.
E' molto rilassata e molto freak, sempre un po' troppo sostenuta mi sembra, ma e' certamente piena di bellissime donne.
Questo mi fa pensare che forse un po' di citta' potrebbe farmi bene, e a quel punto allora Sayulita e' troppo piccola.
Cosi' la mattina dopo prendo un autobus di lamiera che mi porta a Puerto Vallarta.

Puerto Vallarta 21-25.1

A Vallarta non ho mai deciso se venire o no, quando pensavo a un itinerario prima di partire.
Tutti dicevano che era bella ma anche grande, turistica, cara, affollata.
E' tutto vero, in effetti.
Vallarta e' piuttosto grande, piena di turisti, luminosa e sofisticata.
La spiaggia cittadina non e' indimenticabile ma il lungo Malecon sulla Baia de Banderas, pieno di statue e di gente che passeggia, e' magnifico.
Ed e' piena di fantastici bar e ristoranti.
Sul lungomare ci sono piazzette con tavolini e sedie di metallo, in cui camerieri in giacca bianca servono cocktails e caffe'.
Sembra di essere a Montmartre, solo che sei circondato da palme e hai l'oceano davanti.
E Vallarta e' pulitissima, e ordinata, I venditori ambulanti indossano una divisa e un tesserino, anche quelli che vendono marionette di Pippo o di Homer Simpson sul lungomare.
E' piena ovviamente di turisti americani e canadesi, di tutte le eta', e di messicani benestanti in vacanza con la famiglia.
Si mangia benissimo, si beve benissimo, e ci sono due gallerie d'arte Huichol semplicemente straordinarie.
Qui espongono e vendono anche I quadri (le visioni del peyote) e le grandi sculture rivestite di perline che rappresentano animali, come puma, cervi, lupi, e ogni forma ha sempre un preciso significato simbolico.
Non so se il peyote a questo popolo abbia dato una vita migliore o conoscenze piu' profonde dell'universo, di certo gli ha dato un indiscutibile genio artistico.
E insomma non mi pento per nulla di essere venuto a Vallarta, avevo bisogno di una citta' e ho una fantastica stanza con frigo e balcone sul tramonto e un po' di vita mi fa bene.
Perche' se per la prima volta a Chacala mi sono fermato a pensare come un viaggio possa essere molte cose che non siano solo l'andare, una parte di me rimane quella che spalanca gli occhi davanti a una citta' nuova, un mondo sconosciuto, una strada camminata per la prima volta in cui il pappagallo di un negozio dice davvero "cocorito" e "hurra'".

C'e' quel momento, speciale, in cui seduto su un autobus sento che partiamo.
E quando arrivo da qualche parte, e ci siamo soltanto io e la mia valigia.
Eccomi da solo, in un posto sconosciuto e in cui non conosco nessuno.
E' una solitudine perfetta, cosi' perfetta che e' vicina ad essere spaventosa, senza pero' arrivare mai ad esserlo davvero.
E' questa una delle sensazioni del viaggiare che mi sarebbe piu' difficile abbandonare.
Quando il mio passo deve, per forza, essere entusiasta e padrone.
E' come per le cantinas, ma non ho scelta.
Oltre le uscite di un terminal degli autobus, aldila' dei controlli di un aeroporto, fuori dalla stazione di un treno c'e' una citta', un paese, un qualcosa che mi sta aspettando.
Voglio soltanto amarlo e restarne sorpreso, come primo, essenziale, desiderio.
Per farlo, o anche solo per provarci, come nelle cantinas devo spalancare la porta.
Allora vedo il mondo che si apre, e io e la mia valigia siamo soltanto un oggetto freddo e un corpo caldo che stanno balzando in giro per il mondo.
Questa per me, rimane ancora una sensazione di liberta'.
Quando tutto attorno a me e' sconosciuto, e non c'e' nessun ordine, nessun nome che renda facile l'identificazione delle cose.
Solo segni, indizi, supposizioni, incoscienza e speranze.
Devo fidarmi del tipo a cui chiedo un'informazione, devo fidarmi del tassista, dei cartelli che vedo sulla strada.
E' solo allora credo che mi sento libero, qualunque cosa libero voglia dire davvero.
E' solo allora, quando non sono ancora da nessuna parte, non devo dire a nessuno arrivo tardi, che il mondo diventa piu' preciso, piu' definito, piu' limpido.
Una lucidita' e un'attenzione che non mi hanno mai dato nessuna droga.
E' uno dei motivi per cui viaggio da solo immagino.
E uno dei tanti motivi per cui molti non viaggiano da soli immagino.
Quando viaggi da solo, naturalmente sei tutto.
Sei l'unico sguardo, l'unico aiuto, l'unico amico e l'unico a decidere.
L'unico a sbagliare, a farcela e a pagare.
E ogni volta che arrivi in un posto sconosciuto, in un paese che non e' il tuo, magari dopo un lungo viaggio, per quanto stanco e confuso tu possa essere sai che qualunque cosa ci sia dove cominciano le luci o dove finisce il mondo, tu sei l'unico che potra' scoprirlo.

A Vallarta compro degli altri pennarelli in una specie di piccolo centro commerciale
(nella "zona hotelera" qui c'e' persino un gigantesco Wallmart).
Se quelli presi a Las Varas, il paese vicino a Chacala, erano imbarazzanti, questi sembrano fatti a mano da qualcuno che non ha mai visto un pennarello.
Alcuni si sono seccati senza arrivare nemmeno a finire un rettangolo.
Un terzo sono praticamente lo stesso colore. Un altro terzo sfumature dal rosa al fucsia.
Sono interessanti ma non molto utili.
Cosi' ho comprato degli acquarelli.
Dopo essere uscito dal negozio per pittori, ci sono tornato a comprare anche della carta e dei pennelli.
Per ora non ci ho ancora fatto quasi nulla.
Mi metto solo a ridere ogni volta che li vedo e gli devo trovare spazio nella valigia
"Come ti e' venuto in mente di comprare degli acquarelli?" sento che dice una voce dentro la mia testa.
Mah.

Melaque 25.1

A Melaque vado perche' non ho ancora voglia di lasciare il mare.
San Patricio Melaque e' un piccolo paese sulla costa del Jalisco, con una fantastica spiaggia di 5 km che divide con altri 2 paesi, Villa Obregon in mezzo e Barra de Navidad dalla parte opposta.
Arrivo da Vallarta nel tardo pomeriggio e prendo una stanza all'Hotel San Nicolas, una piccola bettola sulla strada principale, in cui vado a piedi dalla fermata del bus.
Melaque e' molto piu' grande di Chacala, e' un paese piccolo ma non piccolissimo, con strade, negozi, una piazza circondata da taquerias e una strepitosa spiaggia per tre quarti sempre praticamente vuota.
L'Hotel San Nicolas e' molto povero, in camera mia non c'e' nemmeno uno specchio, ma ha un balcone sulla strada e costa 8 euro a notte.
Domani andro' alla ricerca di un bungalow in cui fermarmi ma intanto mi siedo a bere una birra in terrazza e a guardare la strada.
Nel balcone accanto al mio ci sono due giovani canadesi che bevono anche loro birre, e siccome nelle stanze non c'e' un frigo vanno ogni 20 minuti a turno a comprarne un paio fredde nel market di sotto, che e' della padrona dell'albergo.
Arriva il tramonto e poi la sera, sotto di me ci sono le luci dei negozi e dei bar e davanti a me una grande insegna luminosa della Corona.
Faccio tre tiri d'erba e continuo a bere birre (me ne porta due uno dei giovani canadesi che stava giusto facendo l'ennesimo giro).
Non ci sono molte verita' nel vino, I Romani ci hanno mentito, tutti i bevitori lo sanno.
Una delle poche pero' e' certamente che nelle bettole non c'e' niente che tu possa fare tranne avere strane idee.
Cosi' mi viene in mente il pensiero dell'erba N. 1:

parla essenzialmente di come quando viaggio mi senta assente alla storia.
Estraneo al tempo consueto, per quanto mi tenga informato su quello che succede e non succede nel mondo.
E mi chiedo se il tempo che abbiamo concepito non sia possibile abitarlo soltanto in spazi fermi, statici.
Come se la presenza del tempo venga a mancare quando diventiamo mobili, e il fatto di non avere uno spazio determinato ci faccia abbandonare ogni senso di appartenenza.
Come faccio ad avere una storia se non ho uno spazio in cui viverla? - mi chiedo a volte - Se non vivo uno spazio in cui la storia possa diventare storia?
I cacciatori-raccoglitori si sono, credo, fermati quando e' cambiato il tempo.
Quando siamo passati da un tempo circolare, come le rotte verso il caldo o verso l'estate, al tempo immobile e ciclico delle stagioni dell'agricoltura, della semina e del raccolto.
Da allora in poi, se escludiamo I tempi in cui c'era ancora qualcosa da scoprire, gli esploratori e I grandi navigatori, a chi si muove mi sembra non sia mai piu' stato concesso di far parte della storia.
E' uno strano pensiero e una strana sensazione.
E mi dispiace dirlo, stavolta non ha nulla a che fare con la liberta'.

SPIAGGIA

I pellicani stanno in attesa vicino alla riva, sulla linea dell'infrangersi delle onde.
Di tanto in tanto si alzano in volo dall'acqua e puntano il mare in picchiata.
Ieri uno si e' tuffato a pescare a un paio di metri da me.
Quando prendono un pesce, spesso un gabbiano gli atterra galleggiando accanto, sperando immagino che il pellicano lasci cadere la preda mentre dalla sacca che ha sotto il becco lo ingoia con un rapido movimento del collo.
Ma non ho ancora mai visto un pellicano perdere un pesce.
Come sprecare banda gratuita:
http://www.youtube.com/watch?v=NI9WdrIc20s
Guardando I pellicani penso come deve essere diverso per un uccello acquatico il rapporto col mare.
Per lui e' quasi come la terra, una superficie da cui si puo' comunque spiccare il volo.
Solo il fuoco e' proibito a un pellicano, penso mentre li guardo.
Penso anche alla strana vita di un pesce delle acque basse.
Un giorno stai nuotando tra le onde riflettendo sul da farsi, e un attimo dopo sei nel becco di un pellicano.

Le onde qui, anche quando sono grosse, sono comunque molto corte.
Melaque non e' certo, almeno in questo periodo, una spiaggia adatta per fare surf.
I giovani messicani fanno quindi un'altra cosa.
Con delle piccole tavole, piatte e sottili, corrono dallla spiaggia verso la battigia,
poi gettano a terra la tavola e ci scivolano sopra fino a prendere l'onda che sta arrivando, dal davanti.
http://www.youtube.com/watch?v=eJ65H14MA04
Il marito di una donna circondata di cuccioli chiede a due ragazzi di provare e allora mi accorgo che sembra molto piu' semplice di quanto sia davvero.
Il tipo la prima volta getta la tavola troppo presto, sul bagnasciuga troppo asciutto e la tavola gli fa cosi' da freno nel movimento. Cade come se inciampasse sulla sua stessa corsa.
La seconda volta riesce a mettere un piede sulla tavola e poi cade sulla battigia con una capriola che non puo' avergli fatto bene.
Non riuscira' mai nemmeno ad entrare in acqua con tutti e due I piedi sulla tavola.
Ci vuole molto allenamento e molto tempismo, credo.
Il surf va lanciato quando l'onda sta arrivando e la battigia e' umida, e nel momento giusto per salire poi sull'onda; se e' troppo presto il surf affondera' attraversando l'onda prima che si rompa, se e' troppo tardi invece l'onda travolgera' il surfista.
In tutto questo, e' il tramonto e io sto bevendo una birra seduto sulla spiaggia.
Uno di quei casi in cui non mi costa nulla filosofare e dire la mia sullo sport, in pratica.

Qui il mare e' cosi' pescoso che I pescatori lanciano le loro piccole reti da spalla quasi dalla riva, e spesso le ritirano con qualcosa dentro.
Alcuni hanno la pelle cosi' scura che sembrano fatti di roccia vulcanica.
Gli stranieri pescano invece in maniera piu' sportiva.
C'e' un americano, probabilmente turista da anni a Melaque, che entra in mare con un barattolo a cui e' avvolta una lenza che termina con un pesce come esca.
Nuota un po' al largo, svolgendo la bava trasparente e lasciandola in mare mentre torna sulla spiaggia.
Le onde basteranno a far muovere il pesce, se capisco il meccanismo.
Non gli ho mai visto prendere nulla in realta', mi sembra anche che usi un'esca un po' troppo grande, come se sperasse di prendere solo pesci giganteschi o dalla bocca enorme.
Ha una barba bianca e ricorda vagamente Hemingway, potrebbe quindi essere un pescatore di mostri marini. Tornato a riva, si siede sulla spiaggia col barattolo in mano e tira lentamente la lenza facendola passare atrraverso due dita che protegge con una specie di ditale.
Comunque sia, tiene un filo assolutamente trasparente perpendicolare alla battigia e ad altezza d'uomo.
E spesso si gira per parlare con degli amici, o discutere di pesca con altri pescatori.
La meta' della gente inciampa sul filo o lo vede all'ultimo istante, anche quando l'americano fa un gesto poco convinto per alzarlo.
Non chiede mai scusa, anzi ha sempre un'aria di sfida e di rimprovero, come se fosse estremamente scortese fare il bagno o passeggiare sulla spiaggia in quel preciso momento.
"Ma insomma, non vedete che sto pescando?" sembra voler dire a tutti quelli che lo guardano un po' stupiti dopo avere evitato per un pelo quell'invisibile trappola sulla riva.
Forse prima o poi qualcuno lo portera' a pesca di coccodrrilli, e lo lascera' li'.

Mi incammino lungo la spiaggia per passeggiare fino a Barra de Navidad che si vede in lontananza.
La spiaggia e' molto faticosa da camminare, in larghi tratti la sabbia e' morbida e spessa e I piedi ci affondano dentro.
Me ne rendo conto a meta' del cammino ma ormai sono davanti alla laguna e non posso tornare in strada.
Arrivo comunque a Barra stremato dal sole dell' 1 del pomeriggio, un'ora forse non adattissima a una camminata di 5 km sul bagnasciuga.
Pur essendo cosi' vicina, Barra e' molto diversa da Melaque.
Me l'avevano detto ma mi stupisce ugualmente.
E' piu' ordinata, piu' pulita, piu' quadrata, piu' fancy direi.
C'e' persino un Malecon, con da una parte il porto e dall'altra l'oceano.
Sara' lungo 150 metri ma resta comunque un lungomare.
Dovrebbe essere anche un po' piu' cara di Melaque e sembra ci sia molta meno gente.
In spiaggia c'e' soltanto una compagnia di giovani messicani benestanti con le ragazze, attorno al consueto frigo portatile incastrato di birre.

Hanno due kite surf, che hanno gonfiato per usare il paracadute come ombra.
Il frigo e' la versione moderna e ricca della "cubeta" messicana, cioe' un secchio pieno di birre e ghiaccio, che dappertutto in Messico i bar offrono ai gruppi numerosi.
Le birre costano meno prese a sei per volta in una "cubeta", e molti giovani messicani la ordinano.
Ci sono anche cubetas da 20 birre, e in quel caso sono delle bacinelle di plastica piene di ghiaccio e bottiglie.

Per tornare, prendo il bus locale. Oltre che per pigrizia, lo fermo dalla piazza anche per curiosita'.
Gia' due persone me ne hanno parlato, e ne ho anche letto in un racconto di viaggio.
E' un autobus che si ferma dovunque un passeggero voglia scendere e dovunque sulla strada qualcuno faccia un cenno.
"Attenzione fermate continue...! Precaucion Paradas Continuas...!", c'e' scritto sul retro del bus.
Per percorrere I 5 km che teoricamente separano Barra da Melaque, impiega circa mezz'ora.
Passa meticolosammente in quasi tutte le strade di ognuno dei tre paesi che compongono la Baia de Navidad.
Prima tutte le strade di Barra, poi un breve tratto di statale, fino a girare al bivio per Melaque.
Una volta all'interno, torna indietro per attraversare Villa Obregon, fino ad arrivare infine a Melaque, attraverso un labirinto di strade polverose.
Quando siamo a Villa Obregon l'autista scende due minuti per salutare un amico e sull'autobus sale furtivamente l'evidente matto del paese.
Ha I denti davanti affilati, come due enormi canini al centro della bocca.
L'autista se ne accorge dopo un po', quando il matto batte le mani per rivelarsi, e fargli vedere che ce l'ha fatta anche stavolta.
Allora l'autista scuote la testa con uno sguardo di rimprovero che fissa il matto attraverso lo specchietto retrovisore, ma poi ride.
Tutto questo e' profondamente messicano, penso mentre scendo sulla strada principale.
Poi succedono due cose molto molto strane.
La prima e' che quando arrivo a Melaque mi accorgo che non ho la chiave dell'appartamento.
So che come al solito era nella borsa, sono subito sicuro di averla persa, ma e' quasi incredibile perche' tra le altre cose aveva un enorme portachiavi di legno.
Quando lo dico al ragazzo cubico ("larger than taller", come dice Barry, il mio vicino di bungalow) alla reception, mi da' la chiave di riserva senza fare problemi.
Forse perche' ha capito che mi stono quando qualche giorno fa l'ho ringraziato con un sorriso gigante per avermi cambiato una lampadina ("questo posto e' gia' pieno di pensionati alcolisti, ci mancava giusto un italiano fumatore d'erba che perde pure le chiavi", mi sembra pensare).
O forse perche' non ho detto niente quando lui e due amici per 3 giorni hanno trasformato il cortile accanto all'improbabile piscina in un garage in cui hanno smontato e rimontato completamente un pickup Wolkswagen.
Una follia totale, a pensarci bene.
This is Mexico, e' tutto quello che si puo' dire.
Come il camion del gas che comincia alle 8 di mattina a girare per le strade con una cantilena nel megafono, non si sa mai che qualcuno appena sveglio scopra con terrore di aver finito la bombola e non possa cucinarsi una tortilla.
Anche il pickup del Circo che c'e' in citta' inonda continuamente le strade con le urla megafonate del venditore di biglietti, e lo fa trainando lentamente come una roulotte una grande gabbia in cui dentro impazzisce una tigre.
E' piuttosto barbaro ma sabato sera la fila per entrare al Circo sara' lunga quanto mezza circonferenza della piazza.
This is Mexico.
La seconda cosa molto molto strana e' che quando cerco di scaricare sul laptop le foto che ho fatto (e so di averle fatte) a Barra, sulla scheda non ce n'e' traccia.
Non c'e' nessuna foto.Nessuna.
E' evidente che la chiave e le foto sono nello stesso posto.
Ma non credo andro' a cercarlo.

Barry, il mio vicino di veranda, e' di Vancouver. Passa qui da qualche anno i 3 mesi piovosi, e quest' anno stara' un po' di piu' per evitare le Olimpiadi Invernali e il caos che si portano dietro.
E' in pensione da quando aveva 59 anni, quando ha venduto la fabbrica che aveva col fratello, e che fondamentalmente aveva brevettato e produceva pezzi e attrezzature per McDonald.
Per lavoro ha viaggiato quasi in tutto il mondo, "in Francia sono stato in tutti, dico tutti, I McDonald del paese" , dice ora che ha scelto Melaque per fermarsi, "devo ringraziare McDonald, aldila' di quello che uno possa pensare di loro. Senza McDonald starei ancora lavorando e chissa' quando avrei potuto ritirarmi.
Mio fratello e' morto soltanto tre anni dopo che avevamo venduto l'azienda.
Pensa, ha avuto solo tre anni per godersi la vita dopo averla lavorata quasi tutta."
Ci troviamo a bere birre seduti ai tavolini davanti ai nostri bungalow, io bevo Pacifico, e lui Dos Equis, una lager, ma spesso ci offriamo a vicenda una bottiglia.

Il Messico e' un paese alcolico, e' impossibile conoscere qualcuno che non abbia il frigo pieno di birre.
Gli dico che voglio andare in Guatemala.
Non c'e' mai stato ma conosce bene il Nicaragua e mi dice:
"ah..Centroamerica..la prima cosa che impari in Centroamerica e' a non camminare sui marciapiedi.Qui lo puoi fare tranquillamente ma li' tutti camminano in strada.Sui marciapiedi non puoi mai sapere quando una porta si apre all'improvviso e tu ci scompari dentro trascinato da qualcuno."
Ecco uno strano consiglio, mi dico. Ma resto convinto di andare in Guatemala.

Barry ha 4 figlie in Canada, a cui grida tutti I giorni I saluti attraverso Skype, dopocena.
Le sue giornate le passa bevendo birre coi suoi amici del Trailer Park, il parcheggio per I camper (a Melaque ce ne sono direi tre) sulla spiaggia, dove ci sono circa una settantina di posti per giganteschi veicoli che una volta parcheggiati si alzano, si allungano e si allargano fino a diventare delle ville in miniatura su ruote.
Quando ero per lavoro negli USA, a un dirigente ne noleggiarono uno, pieno di divani e rivestito di specchi, lo ricordo come una specie di bizzarro bordello viaggiante.
Sono stati I suoi amici a fargli scoprire Melaque ma Barry preferisce venire qui in un bungalow, perche' e' economico, e' sulla spiaggia, e' messicano.
In un fantastico libro che ho letto tempo fa ("Senza mai fermarsi. Viaggio con i nomadi americani" - Richard Grant), una parte e' dedicata ai pensionati americani che si muovono su enormi camper.
Alcuni sono milionari, altri vendono tutto quanto e si comprano una casa su ruote.
C'e' chi viaggia tutto l'anno verso il caldo in questo modo, coi barboncini pettinati che mettono fuori la testa dalle finestre del motorhome, e degli anziani o delle anziane che guidano queste specie di camion di lusso per migliaia di chilometri.
Barry mi dice che dal Canada I suoi amici ci mettono circa due settimane per arrivare qui.
Ma quello che mi colpisce e' che solo per la piazzola, molto grande certo e con vista mare, pagano 7000 pesos al mese (circa 380 euro), che e' quanto paga Barry come tariffa di lungo periodo, per un bungalow con 2 stanze, bagno e cucina (e fantastica terrazza).
Hanno anche l'acqua e l'elettricita' eccetera ma mi sembra comunque parecchio.
"Si fanno un sacco di soldi ad affittare il suolo da queste parti" dice Barry ridendo.

Una mattina Barry mi porta sulla collina che domina la spiaggia, attraverso una strada di sabbia in salita che parte da oltre la statale e gira attorno al paese.
In alto ci sono le palapas, cioe' delle capanne con tetto di paglia, del ristorante che anni fa ha cercato di aprire in quel punto meravigliosamente panoramico.
Da qui si vede l'intera mezzaluna della spiaggia che da Melaque arriva fino a Barra de Navidad e dall'altra parte, impossibili da vedere dalla spiaggia, scogliere a picco sul mare e acque azzurre che diventano bianche di schiuma quando incontrano gli scogli che in fila indiana si allontanano dalla costa.
Un panorama fantastico.
Mentre torniamo verso casa, Barry si ferma in un ristorante sulla spiaggia a comprare della "salsa mexicana", che compro subito anch'io.
E' una strepitosa salsa fatta con pomodoro, cipolla, chili, prezzemolo, un po' di boh e un po' di qualcos'altro, piccante e freschissima, perfetta con dei nachos, sulle uova, dentro a delle tortillas e cosi' via.
Un contenitore gigante costa 20 pesos, poco piu' di 1 euro.
Ieri in pescheria ho comprato un enorme filetto di pesce e costava 20 pesos.
Due giorni fa in macelleria un'abnorme quantita' di carne per fare I tacos di carne asada mi e' costata anche quella 20 pesos.
Qui tutto sembra costare 20 pesos, mi sono detto.
Non e' cosi' ovviamente, ma penso che sarebbe bello un posto in cui tutto costa 20 pesos.

31.1.2010
Il 31 gennaio, grazie alla festa del patrono, a suo tempo e' scaduto il mio ultimo contratto.
Oggi sono due anni che non ho un lavoro.
Non me ne vanto, ne' festeggio, in un mondo che vede ancora la gente salire sui tetti per averne uno o darsi fuoco per averlo perso, ma il lavoro non mi manca.
Non mi sento in colpa e ho sempre saputo che non lavorare non significava automaticamente essere felice.
Forse in questi due anni non ho fatto molto, ma ho pensato di piu', ho letto piu' libri, scritto piu' cose, imparato di piu'.
I rapporti umani mi sono mancati certo, ma non si puo' avere tutto.
Non so per quanto potro' e vorro' fare a meno di un lavoro.
Ma per ora va bene cosi'.


CAMBIAMENTI DI PROGRAMMA

Vabbe', forse l'ho sempre saputo.
O forse l'ho saputo quando arrivato all'aeroporto di Citta' del Messico ho chiesto all'addetta all'immigrazione se potevo restare 6 mesi.
"Certo Federico, benvenuto in Messico", ha detto quella fantastica donna in divisa stampando "180 dias" sulla mia tarjeta migratoria.
Cosi' quando a Vallarta ero in viaggio da due mesi e mi sembrava di avere fatto cosi' poca strada, mi sono spaventato e ho chiamato Lufthansa.
Gli ho dato 100 euro per cambiare la data del mio volo di ritorno.
Non e' piu' il 18 febbraio, e' il 18 maggio.

Adios


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